Nel primo tratto del fiume Verrino, in corrispondenza del comune di Agnone, in alto Molise, l’acqua forma suggestive cascate che nei secoli scorsi hanno alimentato un’antica fonderia del rame, una centrale idroelettrica e numerosi mulini.
Il torrente Verrino nasce nel comune di Capracotta e dopo aver attraversato numerosi paesi confluisce nel fiume Trigno. All’altezza di Agnone il corso d’acqua crea numerose cascate, tanto suggestive quanto utilissime per l’approvvigionamento di energia idrica. Tali condizioni in passato hanno permesso la nascita di molte attività produttive legate alla forza del fiume e ancora oggi esistenti, anche se non più attive.
Una mappa del 1754 attesta la presenza di una fonderia del rame (ramera) ad Agnone, in contrada San Quirico, lungo il corso del Verrino. La struttura, di proprietà del Convento di San Francesco, presentava forni di fusione alimentati dall’energia idrica, in grado di raggiungere la temperatura di 1100 gradi. Il metallo incandescente veniva poi raccolto con appositi mestoli e andava a formare panetti di rame ancora caldi. Pesanti magli, messi in moto dalla pressione delle acque del fiume, forgiavano infine i panetti trasformandoli in vasi.
La fabbrica consentiva di rifornire velocemente le numerose botteghe dei maestri ramai presenti ad Agnone, dove gli oggetti in metallo venivano rifiniti e venduti. Inoltre, secondo le fonti, si trattò di una delle primissime industrie della zona ad aver avuto turni lavorativi organizzati, mense e dormitori per gli operai.
Due secoli dopo, nel 1905, lungo il fiume venne anche inaugurata una centrale idroelettrica che riforniva le abitazioni, tanto da garantire l’elettrificazione della città di Agnone ben otto anni prima rispetto a Roma. Ovviamente la stessa corrente idroelettrica alimentò anche la ramera fino al 1970, anno della sua chiusura. La centrale, ormai anch’essa inattiva, offre anche un comodo punto di accesso alle sponde del Verrino.
Sono poi ancora visibili il Mulino Scatozza e il Mulino Casciano, antiche strutture private utilizzate per la macinazione del grano grazie al meccanismo della ruota idraulica orizzontale, tipica delle zone montuose. La struttura del secondo mulino si sviluppa su ben tre livelli: uno interrato con la cosiddetta camera delle acque e i restanti due provvisti di macine, spazio per lo stoccaggio delle farine e camere per la residenza del mugnaio.
Queste testimonianze di archeologia industriale sono ancora oggi facilmente visibili e visitabili dall’esterno, immerse in un suggestivo ed incontaminato contesto naturalistico, tra il verde dei boschi e l’azzurro delle cascate.
Silvia Di Menna