Lina Pietravalle, una scrittrice poco nota del XX secolo, di origini molisane e innamorata del Molise, ha scritto una delle più belle dichiarazioni d’amore alla nostra terra.
Lina Pietravalle nasce nel 1887 a Fasano di Puglia da una famiglia molisana, originaria di Salcito, in provincia di Campobasso. Vive tra Torino, Napoli e Roma ma la sua «patria interiore» è il Molise, a cui è votata gran parte della sua produzione letteraria.
Una scrittrice poco nota, ingiustamente dimenticata, eppure straordinariamente moderna, che merita di essere riscoperta.
La critica comincia ad interessarsi a lei solo quando inizia a scrivere i suoi racconti molisani: I racconti della terra (1924), Il fatterello (1928), Storie di paese (1930), Le catene (1930), Marcia nuziale (1932).
I suoi libri parlano quasi esclusivamente del Molise. Perché? «Mi sono chiesta spesso cos’è che mi lega a questa terra in cui sono vissuta così poco […] nel Molise ho trascorso soltanto tutti i giorni felici della mia giovinezza» (da Incontri con Lina Pietravalle, Gabriella Iacobucci, 1992).
Lina era innamorata del Molise, per lei era come «entrare in un mondo magico».
Un legame, dunque, magico e viscerale stringe e avviluppa Lina Pietravalle al Molise. Una terra che così la scrittrice descrive nel 1931, invitata al Liceum di Firenze a parlare del Molise:
«Il Molise, Signori, ha l’onore di essere di quei paesi elementari, rozzi, retrogradi che non dicono nulla al turista: non vi è nessuna preparazione scenica di montagne, di laghi e di giardini da riguardare dalla finestra d’un albergo […].
Il Molise cammina con un piccolo secolo indietro, dolce e testardo come il fanciullo pacioso che non vuole il dolce quando gli si offre, per paura che preceda la medicina cattiva. Così è il Molise che non chiede, non vuole civiltà, nella smania universale […].
I secoli prepotenti non hanno scosso la sua opaca e forte struttura di colonia agricola e guerriera, ed egli la vuole vivere a suo modo, attaccato alla spina dei suoi monti, e a prosperare nel senso antico della Bibbia, tra lanose e pie greggi, in valli spaziose e calme dove il tempo s’arresta a riguardare i miti uomini fedeli che ancora guadagnano il pane col sudore della fronte […].
Sannio, Samnu, consacrato. Consacrato dunque? A che cosa? In un secolo di lotte economiche, nella serrata e fredda concupiscenza di ardui valori, che cosa vale questa diffidenza verso il più e verso il meglio? E a che serve?
Serve, o Signori, a fecondare un principio di grande dignità umana, a mantenere sacra e costante la prima effigie dell’uomo, colui che ebbe per suo teatro dilettoso l’alma terra, cosi rossi tramonti…».
(da Incontri con Lina Pietravalle, Gabriella Iacobucci, 1992).
Forse una delle dichiarazioni d’amore più belle fatte a questa terra, non privo di contraddizioni, come tutti gli amori più veri e autentici.
Brunella Muttillo